Uno degli argomenti preferiti da parte di chi appoggia il sostegno pubblico nel mondo del cinema e dell’audiovisivo, è che questo investimento statale e locale porta a moltiplicare i soldi spesi e ha un effetto positivo su tutta l’economia, non solo quella direttamente legata agli incentivi (che vanno soprattutto alla produzione).
A mio avviso, questo è un argomento fondamentale e assolutamente corretto, che va difeso a spada tratta. Il problema tuttavia non è il principio di base, ma la sua applicazione. Per esempio, di recente sembra che in Italia siamo riusciti ad arrivare a una sintesi sul fatto che il moltiplicatore è di 3,5. Dico una ‘sintesi’, perché negli anni scorsi sono uscite cifre molto variegate, in cui si arrivava anche a moltiplicatori di 15-20, senza nessun riferimento preciso alle ricerche che avrebbero dovuto confermare questi numeri (senza contare che non siamo molto credibili se diamo cifre completamente diverse). E anche quando c’era qualche analisi dietro, si potevano avere risultati molto diversi (consiglio in merito questo articolo di Angelo Zaccone Teodosi).
Il punto però è che nessuno ci spiega come venga effettivamente calcolato questo moltiplicatore e cosa comprenda esattamente. Questa problematica mi è tornata in mente leggendo la ricerca commissionata dalla Motion Picture Association e realizzata dalla società di consulenza Olsberg-SPI sugli incentivi alla produzione nel mondo.
Giustamente si dice che “gli incentivi alla produzione generano un'ampia gamma di impatti. Gli incentivi dovrebbero essere valutati non solo in termini di impatto sull'attività produttiva diretta, ma anche attraverso parametri economici più ampi, come il valore aggiunto lordo (VAL), la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo delle infrastrutture e i benefici turistici. Sebbene gli incentivi producano un considerevole impatto fiscale direttamente sul governo, questa è una visione troppo ristretta per valutare adeguatamente il loro ritorno sull'investimento (ROI), che dovrebbe sempre prendere in considerazione gli obiettivi e gli effetti economici più ampi di questi programmi”.
Perfetto. Il problema è che i dati sono molto diversi nazione per nazione. Per esempio, in Australia il VAL varia da 4,40 a 5,89 (a seconda se si considerano le spese produttive o quelle limitate alle location), mentre nello stato americano della Georgia il VAL è di 6,3, in Islanda di 6,8, in Norvegia di 4,7 e in New Mexico di 8,4. E’ evidente che, se non si usa la stessa metodologia, si avranno dati molto variegati.
D’altronde, non posso pensare che i norvegesi siano la metà meno bravi dei loro colleghi in New Mexico, che a loro volta dovrebbero essere molto-ma-molto più bravi di noi italiani (più del doppio!). Ma ripeto, se non sappiamo come ogni Paese del mondo (o anche regione italiana) calcola questo ‘moltiplicatore’, ci troviamo con una serie di numeri senza nessuna coerenza.
Ma soprattutto, sarebbe opportuno fare un confronto con altre industrie e capire quanto ‘moltiplicano’ gli investimenti in quei settori. Insomma, se questo euro invece di investirlo sul cinema e l’audiovisivo (ammettiamo pure che sia valido il coefficiente di 3,5 citato sopra) lo investiamo nell’allevamento di vongole o nella fabbricazione di assi da stiro (così come di mille altre cose), che moltiplicatore otteniamo? Più di 3,5 o meno? E’ una questione fondamentale per convincere le istituzioni a investire: se il nostro moltiplicatore è più alto degli altri, conviene anche allo Stato sostenerci. Altrimenti...
Aggiungo anche un altro elemento di discussione, grazie a una mia esperienza personale di lavoro su un set (nessuna informazione riservata, le cose che cito sono frutto di una conferenza stampa pubblica). Una serie in cui ero impegnato aveva ricevuto da una regione 240.000 euro di contributi e gli stessi membri della film commission ritenevano che questa serie avesse avuto ricadute sul territorio di circa 3-4 milioni di euro. Un affare, insomma. Il ragionamento di base è assolutamente corretto, considerando non solo le entrate dirette ai professionisti del luogo che lavoravano alla serie, ma tutte le spese (ristoranti, alberghi, servizi vari e qualsiasi forma di consumo effettuata in loco) fatte da chiunque avesse un legame con la serie.
D’altro canto, proprio io scrivevo, in questo articolo:
A livello di fonti di finanziamento, posso confermare un discorso che avevo già fatto sui film cinema e sulle Film Commission, che diventano ancora più marginali, visto che parliamo di 5,14M nel 2023 (comunque in aumento sui 4,72M del 2022), cifre che sui costi totali (824M) sono sostanzialmente insignificanti e inferiori all’1%.
Insomma, se domani tutte le film commission italiane si mettessero d’accordo e abolissero i finanziamenti alla produzione, non cambierebbe sostanzialmente nulla nei budget e le produzioni si farebbero lo stesso, portando su quei territori gli stessi soldi (magari qualche regione vedrebbe una differenza rispetto a prima nelle produzioni ospitate, ma quello è un altro discorso). Insomma, è la differenza tra una ricchezza effettivamente creata e una ‘catturata’, espressioni che ha utilizzato la newsletter Entertainment Strategy Guy di recente e che mi piacciono molto. E portano a dire che, a seconda dei vostri punti di vista, potete legittimamente sostenere che un contributo alla produzione porti a un territorio un moltiplicatore di 15 o… non crei effettivamente nessuna ricchezza (ma possa sicuramente catturarne, poca o tanta a seconda dei casi).
Un’altra riflessione me la fornisce sempre il report di Olsberg-SPI, dove un altro problema di metodologia riguarda il discorso riprese e turismo. Per esempio, in merito alla serie Yellowstone, si dice che oltre all’impatto sull’occupazione nello Stato del Montana, “ci siano stati 2,1 milioni di visitatori che hanno deciso di visitare questo territorio spinti dalla serie, spendendo 730,1 milioni nello Stato”. Anche qui, non sappiamo come siano stati calcolati questi numeri. Un’indagine dello Stato del Montana? Possibile, ma allora è probabile che la metodologia sia differente da quella in altri Paesi. E ovviamente il Montana ha tutto l’interesse a ‘pompare’ i numeri (non dico che lo abbiano fatto, ma se l’indagine fosse stata svolta direttamente dallo Stato, non potrebbe essere considerata un’analisi imparziale).
In ogni caso, si conferma che per operazioni di questo tipo (penso in Italia alle riprese dell’ultimo Fast & Furious o di White Lotus) sarebbe logico pensare che (almeno) una quota del tax credit venga pagata dal Ministero del Turismo e non sempre e soltanto dal Ministero della Cultura. D’altronde, se la questione fosse ‘culturale’, si può decisamente discutere sulla scelta di favorire un blockbuster americano (o una serie piena di stereotipi sulla Sicilia). Se invece serve per favorire il turismo (e indubbiamente questi prodotti aiutano molto), allora rivolgiamoci a quel Ministero e facciamo risparmiare al MIC qualche risorsa, che può essere invece utilizzata per questioni realmente culturali…
Leggo spesso i tuoi articoli che trovo accurati e interessanti ma temo che questa affermazione:
"A livello di fonti di finanziamento, posso confermare un discorso che avevo già fatto sui film cinema e sulle Film Commission, che diventano ancora più marginali, visto che parliamo di 5,14M nel 2023 (comunque in aumento sui 4,72M del 2022), cifre che sui costi totali (824M) sono sostanzialmente insignificanti e inferiori all’1%."
sia non corretta.
I fondi erogati dalle regioni sull'audiovisivo (tramite film commission e fondi regionali) ammontano ad alcune decine di milioni di euro all'anno. Sicuramente il dato di 5 milioni è largamente errato dal momento che singole film commission/fondi regionali, da soli, hanno un budget che raggiunge all'incirca quel livello. Se la frase si riferisce ai soli fondi erogati da soggetti denominati "film commission", il dato è poco rilevante e fuorviante in quanto le regioni (e province autonome) investono sul settore audiovisivo attraverso modalità che variano da regione a regione (a volte è la film commission a gestire i fondi, altre un fondo regionale ad hoc, altre volte un assessorato etc.).
Saluti
Marcello Mustilli
Tutta la spesa pubblica (o le detrazioni fiscali) genera un maggior reddito attraverso il meccanismo del moltiplicatore ma il problema è che le stime macroeconomiche del moltiplicatore portano a 1,8 o 2,0 e non a numeri superiori. E questa è una delle discussioni che si fanno alla politica di austerità o non austerità. Ad es il bonus edilizio ha di sicuro avuto un forte impatto sul PIL tanto che per un anno il PIL è crescito del 6,5% (neanche la Cina ha fatto meglio). Per il nostro settore quindi non è pensabile che sia 3,5% o più alto. Quello che ad esempio si può pensare è che la serie Yellowstone o Montalbano abbiano "spostato" una parte del turismo da una zona ad un'altra (ad es invece di andare a Napoli una coppia è andata a vedere il set di Montalbano "spostando" la spesa turistica da un luogo ad un altro).