Avevo molta paura per quanto riguarda il servizio e l’approfondimento di Quarta Repubblica di ieri, che potete recuperare qui (per quanto riguarda il servizio). Alla fine, posso dire di aver visto decisamente di peggio e, anche con diverse riserve, siamo di fronte a un'inchiesta giornalistica accettabile, anche se spesso va in direzioni poco convincenti (e purtroppo frequenti). Ma analizziamola punto per punto.
Va detto che bisogna distinguere tra il servizio (sicuramente più attento e preciso) e gli interventi in studio (che potete vedere qui, c’è la registrazione di tutta la puntata, la parte cinema inizia a circa 2h05’) di Porro e i suoi ospiti, a cominciare dalla premessa del conduttore ("abbiamo buttato nel cestino tre miliardi per finanziare i film a una cricca che neanche li porta in sala"). Ovviamente, i tre miliardi pubblici di questi anni non sono destinati solo al cinema (la cifra riguarda anche le serie, che hanno preso ovviamente di più, basti dire che il tax credit produzione cinema nel 2023 è stato di 198 milioni, negli anni precedenti, dal 2022 al 2019, è stato rispettivamente di 176M, 132M, 71M e 95M) e dire che tutti i contributi al cinema sono andati a film che non sono usciti (come se non fosse uscito nessun titolo italiano al cinema, ma non ci diciamo sempre che sono troppi?) è ovviamente eccessivo. Inoltre, sono stati citati il caso di Era ora e Prima di andare via, che hanno fatto un passaggio tecnico in sala (il discorso lo affronto meglio alla fine di questo articolo) e quindi non andrebbero giudicati per i pochi spettatori cinema che hanno ottenuto (Era ora peraltro è andato benissimo nel mondo su Netflix).
E veniamo al servizio. A parte un refuso (il tax credit cinema non l'ha certo inventato Franceschini nel 2017, come viene detto, anzi dopo che era stato Rutelli a lanciarlo, le basi principali di questo sistema le ha messe un ministro di centrodestra, Sandro Bondi), si inizia bene, con Michele Lo Foco che giustamente fa capire che certi budget enormi sono tali a livello contabile, ma quei soldi non si vedono molto sullo schermo. Ed è interessante che si parli delle aziende più grandi e del fatto che siano in larga parte controllate da gruppi stranieri. Ma, come dico sempre, il problema non è quanto hanno preso negli anni alcune società, ma bisognerebbe concentrarsi sui risultati e se, insomma, il supporto dello Stato ha contribuito a far sì che queste aziende siano in salute e diano vita a prodotti di successo nel mondo. O invece no.
Spiace che Dario Formisano affermi che "forse stiamo finanziando la major statunitense", peccato che due major su tre non producono cinema italiano (e la Warner ne fa comunque relativamente pochi ogni anno, con budget peraltro quasi sempre molto ragionevoli). Se poi si intendeva il discorso delle piattaforme, anche qui due major su tre (Comcast e Warner Bros. Discovery) al momento non hanno le loro piattaforme in Italia. Disney+ ha speso tanto per pochi prodotti italiani, ma mi sembra chiaro che ormai quei tempi sono finiti. Ma basta raccontare questa storia che le major lucrano sul tax credit, non ha alcun senso...
E passiamo a quando si parla di compensi milionari per i registi, cosa che viene inserita nelle 'storture' del sistema, nonostante lo stesso servizio (correttamente) parla di "registi che hanno preso in modo legittimo compensi milionari per film che hanno preso soldi pubblici".
Mi concentro su quello che secondo me è l'accusa meno ragionevole (ma qui è questione di addetti ai lavori, che certe cose le sanno, se il giornalista non è specializzato nel settore non si può pretendere ne sia a conoscenza), quella sul compenso di 2,4M a Luca Guadagnino ed Edoardo Gabbriellini (messi assieme perché ovviamente al Ministero risultano le spese per la 'regia', poi che si siano divisi equamente questa cifra mi sentirei di escluderlo), per il "film" (in realtà è una serie, ma poco importa) We Are Who we Are. Bene, sapete che penso? Che del budget di We Are Who We Are (47,4 milioni di euro, sinceramente stupefacente, per il tipo di prodotto che è) i soldi spesi per Guadagnino (che lo ricordo, in questo momento è il regista italiano più famoso all'estero e che lavora con tante star di Hollywood) sono un costo quasi basso, visto che quel lavoro si vendeva principalmente sul suo nome. E' quindi assurdo che sia lui a dover essere messo sotto esame per i soldi pubblici che ha preso la serie (di cui i compensi di Guadagnino sono solo una minima parte).
E discorso simile vale per altri registi menzionati, come Muccino e Genovese, che ovviamente solo l'esca commerciale principale per i prodotti a cui lavorano. Buffo invece che non sia stato citato direttamente (anche se nel foglio che si vede nel servizio c'è indicato chiaramente), il caso di Finalmente l'alba e di Saverio Costanzo, che in realtà non ha mai fatto film dai grandi incassi (e anche nel caso de la solitudine dei numeri primi, era tratto da un libro famoso, così come lo stesso vale per la serie de L'amica geniale, property celebre in tutto il mondo). Il che comunque non significa dover massacrare né Finalmente l'alba né Costanzo stesso, come capitato spesso in questi mesi, soprattutto da parte dell'ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Piuttosto, la nostra industria (e chi fa indagini giornalistiche) si dovrebbe porre alcune domande. Per esempio, perché i budget altissimi di questi anni sono stati tutti rivolti al cinema drammatico/d'essai e non a prodotti più commerciali, come fanno anche i francesi con la saga di Asterix e Obelix e I tre moschettieri? Ed è possibile che, in qualche caso, certi compensi molto importanti per dei registi su singoli prodotti, siano stati 'utilizzati' per pagare delle esclusive che avevano quei realizzatori con alcune case di produzione?
Sull'idea che queste cose avvengano solo in Italia (che è un ritornello comune sia per la sinistra che la destra), direi proprio di no. Diversi anni fa, Vincent Maraval (fondatore di Wild Bunch) si lamentava di come i talent francesi chiedessero cifre folli per i prodotti nazionali (che ovviamente potevano ricevere anche e soprattutto grazie ai contributi pubblici) e poi lavoravano per i titoli americani per paghe minime.
Il discorso di alcuni film che hanno incassato pochissimo era già stato fatto da altri in questi mesi. Tecnicamente, non si può parlare di errore giornalistico, ma se non si capisce che alcuni film hanno fatto un passaggio tecnico in sala (discutibile, ma le norme di quel momento lo consentivano), non si ha il quadro completo.
E ha ragione Angelo Zaccone Teodosi a dire che non si è controllato, che è poi il grave problema di tutta la macchina dei contributi pubblici. Poi, si parla di Nanni Moretti e de Il sol dell'avvenire. E' il solito discorso: più che riflettere su "aver preso un tax credit alto", riflettiamo su certi budget (che poi automaticamente danno vita a tax credit alti). E ricordiamo anche che, a differenza di altri titoli ad alto budget, Il sol dell’avvenire ha incassato cifre importanti (più di 4 milioni di euro) e si è venduto bene all’estero (cosa che pochi nostri realizzatori possono dire).
Continua poi l'attacco a un nome noto e 'prestigioso' come Ginevra Elkann, che giuro, non conosco personalmente e non sto difendendo per farmi invitare nella sua terrazza, ma solo perché è il simbolo di come si attacchino le persone in maniera ingiusta (e anche in questo caso, nel servizio si dice "tra gli altri che in modo del tutto legittimo hanno avuto accesso al tax credit e contributi del Ministero", quindi perché ne parliamo come se ci fosse uno scandalo dietro?).
Intanto, c'è da correggere Lo Foco che dice "questi due film poi sono usciti e non hanno incassato niente". In realtà, Magari è andato direttamente su Rai Play a maggio del 2020, vista la situazione drammatica provocata dal Covid (emergenza sanitaria che credo non sia responsabilità di Ginevra Elkann). E non ha molto senso dire che bisogna "andare a fondo per capire se le idee della Elkann valessero veramente la pena di girare un film. E' ovvio che probabilmente c'è stato un riguardo" (Lo Foco) e "Una sorta di captatio benevolentiae un membro della commissione se la fa... [...] Il problema è capire se il film è andato male perché era una sceneggiatura debole, in quel caso sarebbe stato opportuno non finanziarlo" (Marcello Foti).
Intanto, dei 2,8 milioni citati di contributi, solo 400.000 euro sono selettivi (e per Magari, non per Te l'avevo detto, che non ha ottenuto questi contributi). Non ha quindi senso parlare di "occhio di riguardo" o di "captatio benevolentiae" per i 2,4 milioni di tax credit ottenuto, che su due film non sono certo una cifra sconvolgente di questi tempi (in cui si sono presi anche 9-10 milioni su singolo progetto) e soprattutto perché sono un contributo automatico, in cui non si ragiona se la sceneggiatura è forte o debole. Mi sembra che ci sia, da parte giornalistica, una grande attenzione ai nomi noti e a certi stipendi 'importanti' (vedi il discorso registi sopra), come se di base ci fosse un discorso critico verso chi è benestante/ricco (cosa che evidentemente è una colpa, non si sa perché).
Il servizio poi termina con un caso specifico (su cui però non si fanno nomi), che mette in evidenza quanto stia diventando pericoloso fare sempre l'esempio delle centinaia di film prodotti e poi "non usciti al cinema". Come ho già scritto, paradossalmente se non escono, permettono allo Stato di risparmiare, ma in generale un produttore minimamente serio (anche quando ha fatto un brutto film e che non funziona commercialmente) non ha interesse a non uscire, sia perché non potrà fare la richiesta di Tax credit definitivo, sia perché magari il film non potrà fare altri sfruttamenti successivi (che in certi casi prevedono delle finestre dal momento in cui quel titolo passa in sala... e se non ci passa, i tempi per l'arrivo magari in televisione si allungano, così come il pagamento per quello sfruttamento). E infatti, prima di dire che un film (che magari ha preso il tax credit nel 2023, non nel 2018) “non è uscito al cinema”, aspetterei un po’.
Sul dibattito dopo il servizio (che potete vedere qui), sinceramente non credo abbia permesso al pubblico generalista di capire meglio la situazione (e si continua a non distinguere bene tra selettivi e tax credit, nonostante l'avvertenza iniziale di Angelo Zaccone Teodosi). E purtroppo con una slide finale in cui si faceva una gran confusione tra cifre del tax credit (andate ovviamente all'opera e alla società di produzione) e compensi dei registi, che sembravano aver guadagnato stipendi degni di Leonardo DiCaprio (per dire, Guadagnino e Gabbriellini che “avrebbero preso” 13,2 milioni). Il paradosso è che durante il servizio si erano fatte le cifre precise dei compensi dei registi, come è possibile che la redazione del programma (ma anche gli ospiti) non abbia notato la discrepanza enorme su quei dati? Nel caso specifico, o sono 2,4 milioni o sono 13,2M, non possono essere corretti entrambi i dati, no?
Insomma, come detto, tutt'altro che un servizio indegno. Ma (soprattutto nel dibattito finale) la solita narrazione poco precisa (e con qualche errore, talvolta grave) sul mondo del cinema, che la nostra industria dovrebbe cercare di chiarire e di indirizzare verso esempi più virtuosi, che non mancano assolutamente...