Nelle ultime due settimane, si è parlato molto di PapMusic - Animation for Fashion e non per ragioni positive. Ci si è lamentati infatti del rapporto tra il suo budget (oltre 4 milioni, a dire il vero non una cifra enorme di per sé), il suo livello qualitativo (diciamo un po’ ‘vintage’ e lì magari i 4 milioni sono un po’ meno evidenti sullo schermo) e i suoi risultati (al momento, il film ha incassato circa 11.000 euro, quindi eufemisticamente possiamo dire che non è un successo). Tutto questo collegato ai contributi statali ottenuti.
Ma andiamo per ordine. A qualcuno ha lasciato perplesso che UCI e The Space lo abbiano programmato massicciamente, non riuscendo a comprendere la ragione di questa scelta, che magari non fornisce lo stesso accesso a film più ‘meritevoli’. Ma qui siamo di fronte a semplici scelte aziendali, fin da quando, ormai quasi 15 anni fa, Giuseppe Corrado faceva delle battaglie per farsi pagare il traileraggio (e in generale la promozione) da parte delle case di distribuzione. D’altronde, facciamola semplice: per un titolo che incassa bene, ce ne sono magari 4 o 5 che incassano poco o nulla. Se, per quanto riguarda magari quest’ultima categoria, fatta di titoli meno ‘performanti’, i maggiori circuiti cinematografici presenti in Italia vogliono stringere accordi economici con chi è disposto a sostenere fortemente il passaggio in sala (l’ho scritto in democristianese, ma avete capito), non vedo perché mi dovrei sconvolgere, sono aziende private che devono fare l’interesse dei loro soci o no?
E veniamo invece ai contributi statali, per la precisione 200.000 euro di selettivi e 1.591.682 euro di Tax credit. Partiamo dal primo discorso e vediamo di analizzare meglio la questione, andando a vedere chi, in quella sessione, è stato premiato con un contributo e chi invece è stato scartato. Questo il riepilogo (cliccatelo per vederlo meglio):
Insomma, tutti i candidati per i contributi all’animazione hanno ricevuto dei soldi, chi più chi meno (PapMusic non è, come vedete, quello che ha ricevuto più risorse). Sostanzialmente, deve essere stata una sessione (era la seconda del 2023) con pochi aspiranti (in altre occasione, quelli ‘bocciati’ erano decisamente di più di quelli ‘promossi’) e si sarà deciso di non scontentare nessuno. Ovvio che mi potreste dire: sì, ma i soldi a chi non se lo merita non vanno dati comunque! Giusto. Detto che non ho visto gli altri prodotti finanziati nella sessione in questione, vi chiedo: ma come valutare il merito?
Chi scrive ha lavorato per delle case di produzione e in diversi casi si è occupato di preparare i materiali per la richiesta dei selettivi. Sapete cosa si fa? Si sostiene che il titolo che si propone sia straordinario dal punto di vista artistico e commerciale. Semplicemente, si fa cherry-picking di cosa ha funzionato prima (per dimostrare che il vostro film è perfettamente sulla scia di alcuni successi precedenti), si dice che questo sarà innovativo e coraggioso, che sarà in assolutamente in linea con le esigenze del Mercato, blahblahblah.
A questo punto, una commissione di persone (molte delle quali anche qualificate e competenti, ma che ricevevano zero euro di compenso, adesso invece 15.000 euro all’anno, che per la mole di lavoro che c’è rimane una somma insufficiente) deve capire chi effettivamente potrebbe dar vita a un gran film e chi invece sta preparando una boiata, con tutto quello che c’è in mezzo. Certo, se vi portano i nuovi progetti di Sorrentino o Martone, avete uno storico a cui fare riferimento e sapete bene cosa potete aspettarvi. Ma se a farlo sono una società di produzione e una regista che non hanno mai realizzato progetti passati dal MIC in questi anni (sul loro database ci sono solo i due Papmusic), che riferimento potreste avere? E se già per un film di fiction è complicato giudicare una proposta, figuriamoci per un prodotto di animazione. Che ovviamente, se è stato presentato come “innovativo” di fronte al prodotto finito, non si sarà fatto problemi a sostenere di esserlo di fronte alla commissione (che ovviamente come cavolo fa a sapere se verrà fuori come un Pixar… del 2024… o del 1995?). Peraltro, “di fronte alla commissione” si fa per dire, perché le riunioni con le commissioni, utili per capire meglio i progetti e le loro ambizioni, non si fanno più da circa cinque anni…
Tax credit. Questo è il punto della polemica sul film che mi ha fatto veramente preoccupare. Perché spesso non c’è stato un minimo di distinzione tra il contributo selettivo preso e il tax credit, quest’ultimo un cavolo di contributo automatico e in cui nessuno deve selezionare nulla, se non dei parametri oggettivi di investimenti, dai quali uno calcola un 40% di spese eleggibili (non tutti i costi lo sono, per esempio non lo è la producer’s fee). Nessuna scelta, nessuna decisione.
E’ facile scordarselo adesso, ma il tax credit è nato sia per dare certezze oggettive a un produttore, ma anche per ridurre la soggettività di contributi che francamente, prima dell’arrivo di questa norma, premiavano film assurdi (altro che questo cartone!). Adesso magari ci si lamenta che un film non sia uscito al cinema, a quei tempi i titoli venivano finanziati e alcuni magari non venivano neanche girati…
E se non credete a me, magari vi sarà più facile credere a Sandro Bondi (non esattamente sospettabile di essere amico dei registi delle terrazze romane), ex ministro della Cultura, che nel 2008 difendeva questa misura - quando sembrava che dovesse essere bocciata - con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, misura che allora appena nata per mano del precedente Ministro della Cultura, Francesco Rutelli, e grazie a intese bipartisan che facevano capire come fosse gradita anche dal centrodestra. Quando la situazione è tornata a posto, Bondi ha celebrato quello che vedeva come un suo successo, come potete leggere sotto (gli estratti che seguono sono ripresi da un saggio di IsICult a cura di Angelo Zaccone Teodosi, di cui trovate degli estratti qui, vi consiglio di leggerlo perché è molto utile):
Nel maggio dell’anno dopo, il Ministro Bondi annuncia che è operativa “da oggi la legge sulle agevolazioni fiscali per il cinema, Tax Credit e Tax Shelter”.
Ma ancora più interessante l’opinione di Bondi sui benefici di questa riforma e soprattutto della differenza tra contributi veri (giusti o sbagliati che siano) e invece quelle che, come avete visto sopra, l’allora Ministro definiva correttamente “agevolazioni fiscali”:
Il Ministro Sandro Bondi dichiara “basta sprechi, soldi solo a registi esordienti”: più precisamente: «stop ai soldi a pioggia, finanziamenti solo a opere prime e seconde, i grandi cineasti trovino sul mercato le risorse e il governo li aiuterà con tagli alle tasse. È la ricetta del Ministro per i Beni Culturali Sandro Bondi per il settore dello spettacolo, illustrata dallo stesso Ministro con un intervento sul “Giornale”.
“In questi anni, il modello di finanziamento del cinema – afferma Bondi – ha costretto praticamente registi e produttori al servaggio, di qualsiasi colore fosse il governo in carica”. Ora il ministero, annuncia Bondi, invece introduce ”il ‘Tax Credit’ e il ‘Tax Shelter’, cioè la defiscalizzazione degli investimenti e quella degli utili. Così le cose cambieranno”.
E se qualcuno volesse pensare che ormai Bondi non fa più politica attiva, conviene ricordare questa citazione di chi invece è ancora molto presente e (direi) ad altissimo livello negli ultimi anni:
Il 2 agosto 2013 l’allora Presidente dei deputati di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni dichiara “Il decreto legge ‘Valore Cultura’ del Governo Letta (fortemente voluto dal Ministro Massimo Bray, n.d.r.) presenta qualche luce e molte ombre. Se, da un lato, consideriamo positivo il rifinanziamento del Tax Credit per il settore cinematografico (grassetto mio, N.d.R.) e l’apertura nei confronti degli operatori culturali privati, dall’altro prendiamo atto che il provvedimento non introduce interventi strutturali e organici per attuare veramente il principio di sussidiarietà previsto dalla Costituzione”…
Ovviamente, si può discutere se il tax credit non sia cresciuto troppo, sia a livello di quota percentuale (dal 15% iniziale al 40% attuale), sia per quanto riguarda i numeri assoluti (40 milioni nel 2008 per arrivare ai 541 milioni dell’anno scorso, come ricorda sempre IsICult). Ma basta confonderlo con i selettivi, sono due cose completamente diverse!
E veniamo al film in sé: può costare più di 4 milioni? Dipende, per capirlo meglio dovrei vedere il budget completo. Ma la cosa interessante è che, se fosse tutta una truffa, i produttori non avrebbero avuto nessun interesse a uscire in maniera importante nelle sale, così come a presentare questo prodotto durante il festival di Venezia (non all’interno di, come racconta l’interessante pezzo di Gabriele Niola, che correttamente spiega anche la differenza tra tax credit automatico e selettivi). Allo stesso modo, prendere un cast di voci importanti (e che quindi costano) è un’altra voce di spesa che chi vuole semplicemente truffare lo Stato non ha interesse a fare (più spendi, meno utili ti restano).
E’ vero forse (ma qui non ho proprio idea se possa essere così) che in certi casi per un film indipendente ci sono dei finanziatori esterni, con cui si possono trovare degli accordi che prevedano delle ‘garanzie’ (si fa per dire, visti i risultati) che il progetto abbia buone potenzialità di successo, come un’uscita theatrical minima in top sale, dei talent coinvolti, ecc. Ma in ogni caso, dovremmo essere contenti se un film esce in un numero importante di copie e con dei nomi di rilievo impegnati. Che poi questo lo si possa ritenere un ulteriore spreco e un segnale di presunzione immotivata, lo capisco, ma fidatevi, sempre meglio di chi ha enormi budget e poi fatica a uscire in 20 sale, lì significa che i produttori non ci hanno mai creduto.
Tutto questo non è un modo per difendere il film in sé e di sicuro non da un punto di vista artistico. ma per far capire che le sue caratteristiche economiche non sono particolarmente sconvolgenti. Insomma, se ci vedete necessariamente qualcosa di sospetto (non posso escludere che lo sia, ma ricordo sempre la presunzione d’innocenza, almeno fino a quando uno non viene condannato), forse dovreste studiare meglio i budget di questi anni, sia quelli di oscure case di produzione, che quelli di importanti società (con registi prestigiosi).
Quindi, ricapitolando, anche in questo caso abbiamo il tax credit che viene massacrato ingiustamente e su cui si fa una grande confusione, senza che nessuno intervenga a contestare questa comunicazione. E ci sono i selettivi, in cui come solito si dice “la commissione ha sbagliato!”, non rendendosi conto che il problema è essere in grado di sapere cosa funzionerà o meno (e se credete che la nuova commissione potrà, in queste condizioni, fare meglio, magari solo perché viene pagata - poco -, ne riparliamo quando vi sveglierete).
Sarebbe bello invece sottolineare in maniera forte che l’aumento di risorse ‘selettive’ a scapito di quelle automatiche è un grosso problema e non migliorerà la situazione del cinema italiano, anzi. Lo ha sostenuto anche Massimiliano Orfei di Piper Film sull’ultimo numero di Box Office, dicendo che "la riduzione dei contributi automatici fondati sui risultati a favore di quelli selettivi decisi da commissioni ministeriali, mi sembra un ritorno a un passato che non ha dimostrato di essere particolarmente virtuoso ed è una misura a mio avviso sbagliata". E che, come ho scritto da tempo, bisognerebbe cominciare a riflettere sui 52 milioni di selettivi destinati alle storie italiane, che ingolferanno i nostri cinema di prodotti d’autore per un pubblico over 40, fetta di Mercato non particolarmente ampia e già servita da tantissimi film…