Dopo l’articolo di lunedì, ecco la seconda parte della mia analisi sul nuovo decreto del tax credit.
Veniamo a un altro fronte di grandi polemiche, ossia la necessità di un contratto non solo con una società di distribuzione cinematografica, ma che questa sia tra “le prime venti società di distribuzione in termini di incassi realizzati dalle opere da essa distribuite nelle sale cinematografiche nelle due annualità che precedono l’anno di riferimento”. Detto che ci sarà un decreto che specificherà “le modalità con cui sono considerate equiparabili alle predette venti società ulteriori società di distribuzione di nuova costituzione aventi adeguati requisiti in termini di solidità economica e finanziaria e in termini di capacità operativa” (e questo evita ovviamente di tener fuori distributori importanti che hanno aperto nel 2024, come Piper e Be Water), è oggettivamente complicato effettuare una separazione così netta tra distributori ‘meritevoli’ e distributori che non avranno più un film italiano in listino (perché questo sarà il risultato pratico).
Forse non si è notato che il limite delle prime 20 società ‘scarta’ aziende importanti e prestigiose, che magari hanno avuto un'annata sfortunata e/o per vari motivi hanno distribuito poco nell'anno passato. Per esempio, nel biennio 2022-2023, fuori dai primi venti troviamo aziende come Academy Two (che ha portato in Italia il coreano Parasite, che probabilmente è il miglior rapporto costo acquisizione/fatturato degli ultimi anni), Fandango (società fondamentale a livello produttivo e che nel 2024 non ha problemi a stare nei primi 20 distributori, anche grazie a Volare), Tucker Film (i premi Oscar Drive My Car e Departures) e Satine, che ha distribuito nei cinema italiani diversi titoli di pregio, come Re della terra selvaggia, Alabama Monroe e Truman. Proprio sicuri che queste società non siano in grado di lanciare adeguatamente un film italiano? O, al contrario, ci siamo chiesti quante delle prime venti società per box office sono in grado di portare qualsiasi film italiano in sala rispettando gli obblighi richiesti, magari dopo averne distribuiti pochissimi (perché specializzati più in opere straniere) o quasi nessuno? Insomma, non è detto che un fatturato importante derivi dall’aver portato in sala pellicole d’essai italiane di giovani autori (anzi, direi che è il contrario)...
A fronte di queste richieste stringenti e (talvolta) complicate, mi scappa sempre un sorriso enorme quando leggo che per i “film difficili”, uno dei requisiti è che “siano stati distribuiti in meno del 20 per cento degli schermi attivi” (norma che probabilmente “non rispettano” solo Zalone e alcuni blockbuster americani).
Una nuova regola però potenzialmente mi piace molto, perché in questi anni l’ho richiesta a gran voce:
“A pena di inammissibilità ovvero di decadenza dal beneficio, le imprese cinematografiche o audiovisive italiane sono tenute a prevedere nei contratti sottoscritti con i fornitori di servizi di media audiovisivi ovvero con i distributori cinematografici, l’obbligo in capo a questi ultimi di trasparenza e di informazione sui dati relativi alla fruizione da parte degli spettatori delle opere sostenute sia in Italia che nel resto del mondo e secondo le specifiche contenute in un apposito decreto direttoriale. Tali dati devono essere comunicati, a pena di decadenza dal beneficio, alla DGCA, secondo le modalità indicate nel decreto previsto nel precedente periodo”
Spero che, oltre a raccogliere le informazioni, queste servano anche per definire meglio chi ha diritto a maggiori contributi e chi a meno. Perché, inutile dirlo, in questi anni c’è chi ha investito budget enormi in prodotti che non potevano riportare risultati all’altezza, ottenendo quindi un tax credit proporzionalmente alto e magari anche indebitando la propria società (il che è un paradosso, in un momento di boom per il Mercato). E c’è chi ha gestito i propri budget in maniera oculata e magari anche ottenendo risultati migliori rispetto a concorrenti più spendaccioni. La seconda tipologia di produttori deve essere favorita, senza se e senza ma.
Purtroppo, che non ci sia grande attenzione al merito di chi produce ricchezza (rispetto a chi si mangia la ricchezza pubblica), si può vedere anche nel piano di contributi automatici pubblicato nel decreto sul fondo di riparto cinema e audiovisivo 2024. L'anno scorso erano a disposizione 40 milioni di euro, quest'anno saranno 21,3M.
In tutto questo, però, facciamo anche attenzione a un aspetto importante. Si dice che questo decreto favorirebbe le grandi aziende a danno dei medio-piccoli e, per le norme che ho segnalato finora, viene naturale pensarlo. Ma non è proprio così semplice.
Vi segnalo infatti la definizione di "impresa con elevata capacità produttiva e finanziaria", che comprende anche quelle che aziende che:
“sulla base dell’ultimo bilancio depositato, l’impresa cinematografica o audiovisiva che abbia conseguito, contemporaneamente, un totale attivo di bilancio e un totale del valore di produzione, rispettivamente superiori a euro 100.000.000 ovvero sia parte di un gruppo di imprese che superi detti valori”
Questo significa che molte aziende importanti, che fanno capo a prestigiosi (e ricchi) gruppi stranieri (che superano quel fatturato e quell’attivo di bilancio), finiranno per ritrovarsi ad avere un tax credit inferiore al 40% su determinate soglie di budget. Questa, per esempio, la situazione riguardante i film cinema:
a. 35 per cento per la parte del costo eleggibile superiore a euro 5.000.000 e fino a euro 10.000.000;
b. 30 per cento per la parte di costo eleggibile superiore a euro 10.000.000.
Ora, da anni ormai ripeto che ci sarà un problema occupazionale legato alla produzione cinematografica. E non mi riferisco solo ai lavoratori della troupe, cosa che è evidente nel momento in cui si passa da una bolla con un numero enorme di opere realizzate a valori più razionali. Anche chi lavora all’interno delle stesse società di produzione rischia molto, perché se l’azienda diminuisce il fatturato, rischia, se non la chiusura, almeno la riduzione di personale. Peraltro, temo proprio che alcune situazioni (con colossi stranieri che hanno diverse aziende italiane) non siano più sostenibili a queste nuove condizioni. E visto che nessuno, per difendere la proprietà nazionale (come magari fanno i francesi), ha messo norme ‘sfavorevoli’ quando molti hanno venduto la sua società agli stranieri (diciamo nel periodo 2018-2022), mi sembra discutibile adesso penalizzarli nel momento peggiore.
Insomma, di problemi con queste nuove regole ce ne sono molti. Speriamo che i decreti attuativi migliorano la situazione…
Commenti sulla eleggibilità dei costi del personale?