Sono anni che sostengo che il nostro settore non riesce a comunicare bene quello che fa. Oggi, per esempio, Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera scrive che “i cinema sono vuoti”, senza se e senza ma (questo dopo la migliore estate cinematografica di sempre in Italia). E’ vero, i mass media chiaramente cercano sempre la polemica, su un versante o l’altro, senza preoccuparsi di quale sia la realtà e di verificare le accuse che vengono poste. Tuttavia, questo problema sembra acutizzarsi quando c’è un governo di centrodestra.
E’ evidente che il mondo del cinema italiano ha più facilità a collaborare con ministri di sinistra (che per tanti anni ha significato Franceschini) che con quelli di destra, al di là di alcune ‘specificità’ che aveva Gennaro Sangiuliano e il suo modo di fare un po’ ‘brusco’. Tuttavia, non sapendo quanto durerà questa coalizione di governo (nulla vieta che vada avanti per diverse legislature) bisogna evidentemente trovare un modo per far funzionare la macchina anche con questi referenti.
Lo abbiamo visto di recente con Bruno Vespa e le sue slide, di cui sinceramente non ho capito nulla (credo abbia ragione il produttore anonimo contattato da Dagospia, “ha mischiato mele, pistacchi e banane”). Ma è la narrazione sui mass media si divide tra due estremi, entrambi a mio avviso sbagliati.
Da destra, si lamenta dei fondi a pioggia e delle risorse sprecate. Ma se è così, perché non si è fatta una cosa semplice, come valutare i risultati (nel rapporto costi/incassi) delle case di produzione? Qual è stato il vantaggio di tenere bloccate le produzioni per quasi un anno, se poi gli investimenti pubblici saranno sostanzialmente gli stessi? E cosa vieta adesso che ci siano altri casi di film costosissimi e che incassano poco?
Alcuni articoli di ‘destra’ sono semplicemente sbagliati e confusi, soprattutto nelle norme che citano. Per esempio, quello di Daniele Biello sul sito di Nicola Porro:
"I contributi selettivi sono, da sempre, una ignobile mangiatoia in grado di mettere sul piatto una torta da 841 milioni di euro fino al 2022. Soldi sborsati senza alcuna valutazione sulla qualità del prodotto".
Presumo che gli 841 milioni di euro siano una somma totale dei selettivi nel corso di decenni, ma non posso esserne sicuro. Quello che invece è certo, è che dire che non ci sia stata "alcuna valutazione sulla qualità del prodotto" è ovviamente discutibile (le varie commissioni in questi anni cosa avrebbero fatto, se non valutare la qualità dei prodotti? Poi si potrà discutere se lo hanno fatto bene o male...).
Subito dopo, vengono citati alcuni titoli e i contributi ricevuti “concessi’, come Sherlock Santa e Ladri di Natale (4 milioni in due), e Prima di andare via, 700.000 euro. Vista la premessa precedente, viene naturale pensare che si parli di cifre relative a contributi selettivi, ma in realtà si tratta di tax credit, che non viene ovviamente ‘concesso’, ma è automatico. Particolarmente fastidioso questo passaggio:
“Mosse scandalo che il Ministero, presieduto da Franceschini, avesse finanziato due film (“Magari” uscito nel 2019 e “Te l’avevo detto” uscito nel 2023) di Ginevra Elkann, non propriamente proveniente una “signora nessuno”, con un contributo complessivo di per 2,8 milioni di euro, ma i suoi due film hanno portato nelle casse appena 130.000 euro. Che non si dica che un ministro “di sinistra” neghi un obolo alla famiglia Agnelli. Si potrebbe affermare che decidono le commissioni”.
In questo caso, si dice esplicitamente che hanno deciso le commissioni, quindi anche i 2,8 milioni di euro citati saranno selettivi, giusto? E invece no, solo 400.000 euro (andati a Magari) sono selettivi, il resto è tutto tax credit. Ma ovviamente suona benissimo per attaccare Ginevra Elkann e la famiglia Agnelli…
Poi, come spesso capita in questi casi, c’è un po’ confusione e poche verifiche:
“Tra le novità che volle Sangiuliano vi fu anche l’obbligo per le società di produzione cinematografiche di coprire il 50 per cento delle spese con investimenti privati. E poi la grande novità riguarda il rapporto tra contributo statale e distribuzione nelle sale. Chi accede al fondo statale deve possedere un contratto con le società di produzione in modo da garantire una qualità del prodotto e un pubblico numeroso”.
Gli investimenti privati in realtà devono essere il 40% (e comunque, non per tutti, ci sono diverse eccezioni). Sulla frase “Chi accede al fondo statale deve possedere un contratto con le società di produzione in modo da garantire una qualità del prodotto e un pubblico numeroso”, ovviamente presumo che l’autore volesse dire “società di distribuzione”, perché una società di produzione che ha un contratto “con le società di produzione” per distribuire un film non ha molto senso. Che poi avere un contratto con una società di distribuzione al 18esimo o 19esimo posto della classifica annuale “garantisca una qualità del prodotto e un pubblico numeroso”, beh, tanti auguri, sarei curioso di sapere come si ottiene la garanzia di qualità e di pubblico numeroso.
Ma passiamo anche a sinistra, dove diventa tutto un discorso generale sulla Cultura, con toni apocalittici per cui non ci saranno più film e siamo alla censura. L’obiettivo sembra quello di attaccare alcune nomine, che magari in alcuni casi non sono straordinarie, in altri sono invece assolutamente ragionevoli. Per esempio, non ci si preoccupa di attaccare Sergio Castellitto e la sua gestione del Centro sperimentale, che non sarà ineccepibile, ma su cui sarebbe stato meglio fare prima delle verifiche e dei paragoni con il passato, per scoprire che certe accuse (soprattutto di ‘licenziamenti’ e le ragioni dietro a queste scelte) non stanno molto in piedi.
E purtroppo non sono solo i giornalisti a fare casino. Mi permetto di suggerire una regola da seguire per i talent sopra la linea. E’ un momento complicato per tutto il settore e potete fare una scelta tra due ipotesi. Preoccuparvi delle conseguenze peggiori per chi magari non guadagna grandi somme e basa la sua vita professionale sul fatto che lavorerà con una certa costanza all’interno di una troupe. Se questo non avviene, è evidente che ci saranno problemi notevoli, soprattutto se c’è una famiglia di mezzo.
La seconda strada è quella che abbiamo visto spesso in questi anni: pretendere più soldi per la propria categoria, anche se ha già ottenuto tanto in questi anni di bolla, facendo finta che i compensi delle piattaforme siano bassi. Ora la tendenza è lamentarsi dei limiti di tax credit per il sopra la linea, soprattutto da parte dei registi. Ma anche qui, ci si è abituati a cifre totalmente fuori Mercato, magari con esclusive pagate grazie a compensi notevoli su singoli progetti, che quindi ricadono appunto sul tax credit.
In tutto questo, si parla sempre del fatto che il cinema italiano sia uno strumento importante per promuovere il made in Italy. Tutto giusto in teoria, ma soltanto se un film effettivamente viene visto all’estero. Se invece quel film non lo vede nessuno, come fa a promuovere il made in Italy? Un prodotto invisibile non promuove nulla, è invisibile. A maggior ragione, si torna al discorso di avere i dati e valutare se una politica di promozione/sostegno ha avuto successo grazie ai risultati, non in base ai proclami sugli ‘sperperi’. Non possono bastare delle ricerche con dati oscuri e ambigui, servono i numeri di biglietti venduti nei singoli Paesi esteri per ciascun film. Serve, insomma, una prospettiva completamente diversa di analisi dei dati e di comunicazione. Ci riusciremo?
Molto interessante. Il cinema italiano all'estero apre tutto un altro capitolo. In occasione di incontri di settore sento citare titoli italiani "distribuiti negli USA" che qui non si sono mai visti.