Erano molto attesi i decreti direttoriali relativi al Tax credit e che avrebbero dovuto chiarire/migliorare alcuni punti del precedente decreto. Vediamo gli aspetti che ritengo più importanti, consigliandovi in primis di ascoltare il webinar di Emanuele Caruso e/o di scaricare le sue utilissime slide (sempre dal link YouTube che trovate sopra).
Primaria società di distribuzione
Non essendo stati chiariti i parametri che devono avere le “società di nuova costituzione” (verrà fatto con un nuovo decreto), quelle aperte nel 2024 al momento non possono garantire ai produttori che vogliono essere distribuiti con loro di essere ‘qualificati’ per consentire di avere il tax credit. Tuttavia, dal primo gennaio 2025 società come Be Water e Piper Film (che per importanza delle aziende citate, di chi ci lavora, delle collaborazioni che hanno e tante altre caratteristiche, meritano assolutamente di essere considerate ‘primarie’) saranno comunque ‘idonee’, visto che senza dubbio saranno nelle prime 20 del 2024. In effetti, considerate che al momento la ventesima società del 2024 ha incassato 1.066.672 euro. Be Water quest’anno è già a più di 1,3 milioni (e a fine mese farà uscire Longlegs), mentre è evidente che Piper Film con l’arrivo di Parthenope di Sorrentino (già più di 200.000 euro al primo giorno) non avrà difficoltà a ottenere diversi milioni che la porteranno nei primi venti. Rimane il fatto che si è lasciato per mesi un vuoto normativo che non ha aiutato.
In ogni caso, da una parte, la somma dei distributori nei primi venti in uno (e non in entrambi) degli anni darà vita a un numero intorno alle 25 società. Se poi aggiungiamo le deroghe (presenti nell’ultimo decreto) e che richiedono di aver fatto uscire tre prodotti di quel tipo negli ultimi due anni per chi porta in sala documentari, corti e animazione (tra parentesi, ma chi è che è specializzato in animazione e ha fatto uscire tre lungometraggi di animazione negli ultimi due anni, senza già essere nelle prime venti società?) ne deduciamo che di “primarie società di distribuzione” ce ne saranno più di trenta. In linea con altre regole di questi decreti mi sembra che si voglia far vedere una certa ‘severità’, ma in realtà questa severità sia molto lieve, in certi punti quasi inesistente. E comunque, veramente la società arrivata ventesima un anno (e nell’altro magari anche fuori dai primi venti) è ‘primaria’, mentre chi è arrivato ventiduesimo o ventunesimo è di un’altra categoria? E cosa pensare del fatto che negli incassi non si considera la distribuzione di film italiani, ma di tutti i titoli, con società che stanno ampiamente nei primi venti ma magari non hanno distribuito titoli tricolori da secoli?
E mi domando: il distributore che è rimasto fuori dai primi 20 sia nel 2023 che nel 2024, nel 2025 che farà? A meno che la sua attività non sia principalmente di distribuire cinema straniero (possibile su quei fatturati sotto il milione?) o che riuscirà a resistere solo con i titoli che hanno vinto contributi pubblici (vedi sotto), beh, probabilmente dovrà chiudere e/o sopravvivere con risorse umane quasi inesistenti (ma senza poter distribuire titoli italiani “di Mercato”, visto che il produttore che si affiderebbe a queste realtà perderebbe il Tax Credit). Viene a mancare anche la possibilità per il produttore di autodistribuirsi, che era un’opzione interessante (anche se, sinceramente, non molto baciata dal successo, come è naturale che sia).
C’è invece un problema enorme per il produttore: un distributore può veramente impegnarsi con un contratto vincolante prima di vedere un film, soprattutto se questo arriva da una produzione medio-piccola e il regista è sconosciuto/agli esordi? Un conto è scommettere, senza averlo visionato, sul nuovo film di Sorrentino o Muccino, che hanno uno storico importante da diversi punti di vista. Ma se lo storico non c’è, come si fa a richiedere questo impegno ai distributori più importanti? Un tempo, si chiedevano delle lettere di interesse, che però non erano vincolanti, e magari con quella tipologia di ‘supporto’ si è ecceduto. Ma così diventa veramente complicato.
E veniamo ai requisiti minimi di distribuzione, partendo dai film che non ottengono selettivi/contributi europei e che hanno budget maggiori di 3,5 milioni, con un P&A che non deve essere minore di 300.000 euro e la previsione, entro due settimane (erano 4) dalla prima uscita, di almeno 600 proiezioni (prima erano 2.100, un crollo verticale insomma) in almeno 80 sale (erano 100) cinematografiche e con una proiezione almeno nella fascia oraria 18:30-21:30.
Continuo a pensare che il requisito minimo di 300.000 euro di P&A sia straniante, soprattutto perché vale sia per un film da 3,5 milioni che un titolo da 20 milioni. Sarebbe un po’ come dire che una macchina di Formula Uno debba avere una velocità minima di 50 chilometri all’ora: non ci farebbe sorridere? E anche il passaggio da 2.100 a sole 600 proiezioni è molto discutibile. Un film che magari costa 10 milioni di euro e punta veramente all’incasso in sala, le 600 proiezioni dovrebbe farle nel primo giorno, altro che due settimane.
Diminuiscono (ed è una notizia positiva) i requisiti minimi di proiezioni in sala per i film che hanno un costo inferiore ai 3,5M (e che hanno sempre un P&A minimo di 90.000 euro, somma bassissima per un film da 3M, non indifferente per chi è un ultra low budget). La previsione che si richiede, entro due settimane (anche in questo caso, in precedenza erano 4) dalla prima uscita, di almeno 300 proiezioni (erano 980) in almeno 50 sale (erano 70) cinematografiche.
E veniamo ai film che invece ottengono i selettivi/contributi europei. Per i film sopra i 3,5M di budget, il P&A deve essere almeno di 200.000 (cifra anche in questo caso bassa, troppo bassa) e la previsione, entro due settimane (in precedenza erano 4) dalla prima uscita, di almeno 300 proiezioni (qui ancora maggiore il crollo, in effetti erano 2.100) in almeno 50 sale cinematografiche e con una proiezione almeno nella fascia oraria 18:30-21:30. Francamente, un produttore che fa un film da 4M di budget (non parliamo poi di titoli da 10/15/20M) e riesce a malapena a fare 300 proiezioni (ne basterebbero 3 medie in cento sale il primo giorno di sfruttamento) dovrebbe farsi qualche domanda seria sul suo impegno nel theatrical (e magari non chiedere il TC cinema, ma quello Web/Tv).
Per chi invece ottiene i selettivi/contributi europei e costa meno di 3,5M, bastano un numero minimo di proiezioni pari a 240 nell’arco di 3 mesi o, per i film a meno di 1,5M di budget, il fatto di essere sia stati presenti in un festival di rilevanza internazionale e avere un contratto con fornitore di servizi media audiovisivi (che deve avere le caratteristiche minime contenute nel decreto). Continuo a pensare che l’idea che un passaggio a un “festival di rilevanza internazionale” (aspettiamo ancora l’elenco completo) permetta, per le opere inferiori a 1.500.000 euro, ma anche per i documentari, per i cortometraggi e per le opere di animazione (anche quando una pellicola di animazione costa 8-10 milioni di euro?), di non avere obblighi particolari di uscita in sala, sia molto, molto elitaria e snob…
In sostanza, la questione discutibile di queste regole è che vedono il mondo della produzione diviso in due: i film sopra i 3,5 milioni e quelli sotto. A mio avviso, invece, c’è una gran bella differenza tra un titolo da 3,6 milioni e uno da 20M. Così come c’è una gran bella differenza tra il film da 3,4M e quello da 500.000 euro. Vedrete che ci saranno dei film che prenderanno un ricco contributo selettivo per le storie ‘italiane’, ma quindi con un obbligo (veramente minimo) di un P&A da 200.000 euro. A questo punto, converrebbe non metterli neanche degli obblighi così bassi. E diciamolo francamente, se c’è qualcuno che vorrà fare il furbo, prendendo il Tax credit cinema per fare un film che avrà sostanzialmente un’uscita tecnica, per poi passare appena possibile in piattaforma, beh queste regole involontariamente lo consentono…
Inoltre, rimane il problema per i piccoli film che magari vogliono fare una prima uscita limitatissima (peraltro, dopo che Vermiglio ha dimostrato che può essere un’ottima strategia, qualunque siano poi i risultati definitivi). Se va male, che si fa? Si pagano le sale per essere conformi alle regole? O si fa appello, sperando che il Ministero non ti contesti quanto hai sostenuto (a quel punto, richiedendoti indietro anche i soldi già elargiti)? D’altronde, nel nuovo decreto c’è questo passaggio, in cui si chiarisce che non è scontata l’accettazione delle ragioni del produttore:
In caso di mancato rispetto del requisito del numero di proiezioni minimo richiesto dall’art. 12, commi 1 e 2, del “decreto tax credit produzione”, come integrato dai precedenti commi del presente articolo, in conseguenza di fatti sopravvenuti e imprevedibili o comunque di impedimenti oggettivi, ivi compresi gli inadempimenti del terzo, non direttamente imputabili alla società di produzione, il produttore può presentare istanza di deroga documentata, a cui può far seguito un procedimento in contraddittorio teso a verificare l’idoneità della documentazione presentata, nonché la buona fede del produttore.
In tutto questo, rimane il discorso che chi sceglie i titoli a cui assegnare il selettivo avrà un potere enorme, che come indicato permette magari di ridurre notevolmente il numero di proiezioni/sale obbligatorie. E il sistema si fonda su una convinzione, che hanno sempre tutti i governi: il nostro comitato di selezione farà un ottimo lavoro. Io non contesto questa fiducia (anche se è facile notare che l’elenco delle persone che aveva scelto Sangiuliano presenta tante differenze con quelle che ha deciso Giuli, possibile che entrambe le squadre fossero le migliori possibili?), ma penso che sia complicatissimo per chi fa un lavoro pagato 15.000 euro all’anno (troppo poco) leggere/analizzare con attenzione quel numero enorme di progetti e, comunque, essere in grado di capire semplicemente dalle sceneggiature cosa funzionerà (a livello artistico e/o commerciale) e cosa no. Ma spero tanto di sbagliarmi io.
Un punto che ho avuto modo di chiarire, e che notava giustamente Caruso, ossia che nei nuovi decreti c’è questo passaggio obbligatorio per la richiesta di tax credit definitivo:
e) il contratto di distribuzione cinematografica con una primaria società di distribuzione cinematografica, come definita nel presente decreto direttoriale, e documentazione attestante l’uscita in sala;
Questo sembrava significare che anche chi vince i selettivi/contributi europei e che quindi non ha l’obbligo di avere un contratto con una delle prime venti società di distribuzione (o le altre possibilità indicate nei nuovi decreti) per fare la richiesta preventiva di Tax Credit, poi l’obbligo lo avrebbe avuto in sede di richiesta definitiva. In realtà, da quello che mi è stato detto, chi ha ottenuto i selettivi/contributi europei (e quindi non è un film di ‘Mercato’) deve sì presentare al momento della richiesta definitiva di TC un contratto con una società di distribuzione, ma non deve essere necessariamente una società primaria.
Caruso fa notare anche che si avrebbero dei vantaggi a non fare domanda di Tax credit preventivo (e invece solo quella definitiva), perché per budget inferiori ai 3,5M in questo caso gli obblighi di proiezioni/sale sono ridotte, esattamente quelle di chi ottiene i selettivi/contributi europei. Tuttavia, a quel punto, senza aver richiesto l’acconto di tax credit, bisognerebbe accollarsi tutte le spese, visto che nessuna banca avrebbe delle garanzie sufficienti per anticiparti i fondi. Mi sembra quasi un Comma 22…
Le imprese
Notizia positiva arriva per le imprese “non ad elevata capacità produttive” e in linea con quello che avevo auspicato in questo articolo. In effetti, il problema di garantire risorse private al 40% è migliorato, visto che si dovrà garantire un 25% di risorse private, mentre l’altro 15% potrà essere composto di producer fee e spese generali.
Quel 25% di risorse private sono reperibili in maniera variegata: possono essere disponibili sul conto del produttore e non devono essere vincolati (cosa che sinceramente è discutibile, ma è una opportunità importante per il produttore); legati a diritti per la distribuzione del film in sala o per gli sfruttamenti successivi; arrivare da partner esterni (come un product placement) e/o da produttori associati; e altre eventualità, anche di contributi pubblici (selettivi, contributi regionali e automatici).
A mio avviso, è stato raggiunto un equilibrio discreto tra esigenze delle piccole-medie imprese di non dover portare fondi privati che non riuscirebbero a trovare e comunque garantire delle somme che dimostrino di avere un loro ‘capitale’. D’altronde, è normale aspettarsi che anche piccole-medie società di distribuzione debbano prendersi dei piccolo-medi ‘rischi’ imprenditoriali. E se questo significherà una riduzione di titoli d’essai, non la trovo una sciagura, visto che dico sempre che c’è un eccesso di produzione su questo versante (e di sicuro, non aiuteranno a limitare questa tipologia di prodotti i 52 milioni di euro di selettivi per le ‘storie italiane’)…
Le spese istruttorie
Qui trovate l’elenco dei costi che un produttore deve effettuare per le varie richieste di contributi:
In generale, mi sembra una buona scelta e ragionevole (anche i 5.000 euro per i film sotto i 3,5M sono accettabili, visto che non riguardano opere prime e seconde o di giovani autori). Penso che sia una buona idea per diminuire le richieste (disincentivando chi ci prova con progetti assurdi e senza società minimamente solide alle spalle) e per finanziare alcune attività del MIC con questi fondi. Una possibile miglioria comunque: perché queste spese non dovrebbero essere eleggibili per il Tax credit?
Altre due piccole cose:
Positivo che, per il tax credit estero, sia stato tolto l'obbligo di avere almeno un giorno di riprese, così da non penalizzare le società di post-produzione
Il limite di 240.000 euro per gli artisti sopra la linea (registi, attori, sceneggiatori) riguarda le singole prestazioni (e non è quindi un limite complessivo ‘annuale’ su più progetti, ognuno dei quali invece può essere pagato 240.000 euro e quella cifra rimane eleggibile completamente per il TC) e comunque non i diritti di immagine, che sono a parte e non conteggiati in questo contesto.