E’ stato molto interessante leggere la proposta di Nicola Giuliano a The Hollywood Reporter Roma su come finanziare nuovi esordi del cinema italiano. Anche e soprattutto perché mette in luce diversi problemi e contraddizioni della nostra industria.
Intanto, parto da una nota sul titolo, che ovviamente è frutto della redazione di THR Roma e non di Giuliano, ma che fa capire bene il momento confuso che viviamo. "Dilemma mercato vs autori". Ma perché dovrebbe essere un dilemma? Registi come Muccino, Ozpetek, Moretti, Garrone e Sorrentino (lanciato e portato all’Oscar proprio da Giuliano/Indigo) hanno dimostrato in questi anni che con storie molto personali si può dar vita a incassi importanti e riuscire a trovare un pubblico ampio. Perché quindi ventilare una contrapposizione che non sta scritto da nessuna parte debba esistere?
Ma passiamo oltre. La proposta di Giuliano, dopo un’analisi delle differenze con il passato che trovo molto interessante, è questa:
Io credo che vada nominata una commissione di esperti le cui capacità e valori morali siano indiscutibili. Che a questa commissione sia dato il compito di valutare qualità e fattibilità finanziaria di dieci opere prime l’anno. Che si costituisca un fondo dedicato al finanziamento di questi film generato dalla contribuzione di tutto il sistema, quindi oltre che dal ministero e dal tax credit, anche da Rai Cinema, Medusa, Warner, Universal, Vision, Netflix, Amazon, Disney, cioè da tutti gli operatori che dopo aver ricevuto tanto proprio in termini di tax credit dalla fiscalità generale e quindi dallo Stato, restituiscano in piccola parte. Non è una tassa da pagare, è l’investimento necessario alla sopravvivenza e alla prosperità del settore in cui loro stessi operano.
Distinguo tra le due parti della proposta, visto che sulla prima possiamo tranquillamente discuterne, sull’idea di fondo della seconda non sono d’accordo. Nello specifico, nulla in contrario sulla commissione di esperti, se non magari essere un filo scettico sulle “capacità e valori morali indiscutibili” (criteri che non sono così semplici, senza contare i possibili conflitti di interesse). Ma senza fare le pulci, ci sto, vada per la commissione, se si riesce a metterla su con i criteri indicati.
Sulla seconda parte, preciso (o meglio, mi precisa direttamente Nicola) che lui non lo vede come un obbligo di legge, ma come una possibilità di mettersi attorno a un tavolo tra tutti. Per carità, finché è una scelta spontanea e non un discorso regolato da leggi obbligatorie, se si riesce a farlo, sarei anche curioso di vederne gli sviluppi.
Tuttavia, credo che, per quanto riguarda le realtà straniere (major e piattaforme) e l’idea che “è l’investimento necessario alla sopravvivenza e alla prosperità del settore in cui loro stessi operano”, non penso che queste aziende si debbano sentire molto interessate e/o in dovere di farlo. Credo infatti che molte delle realtà citate abbiano fornito al settore in cui loro stessi operano (In Italia) molto di più di quello che hanno ricevuto in questi anni.
Faccio degli esempi. Pochi lo sanno, ma durante la pandemia è stato dato un contributo a fondo perduto ai distributori italiani di cinema. Universal è stata l’unica ad averlo rifiutato, con un atteggiamento che Checco Zalone definirebbe “anti italiano” (scherzo… ma non tanto). E adesso dobbiamo chiedere a Universal i soldi per gli esordienti? Why?
Warner in Italia invece ha creato (assieme alla casa di produzione Colorado) in questi anni l’unico vero fenomeno cinematografico costante e significativo, quello dei Me contro te, che peraltro colma un’enorme lacuna della produzione cinematografica italiana, quella per famiglie, un target che i nostri film non vanno mai a cercare. L'anno scorso, Warner ha prodotto e distribuito il secondo maggior incasso italiano (Me contro te il film - Missione giungla, 4,8M), il quarto (Tre di troppo, 4,77M) e il sesto (Me contro te il film - Vacanze in Transilvania, 4,6M). Direi che per la prosperità del settore hanno già fatto abbastanza.
Ci sono poi le piattaforme. Da analista del settore, che ha cercato tutti i modi possibili per valutare i dati di ascolto (soprattutto Netflix), sono sempre più convinto che la differenza tra gli investimenti fatti dagli streamer in Italia e i risultati di ascolto siano stata molto ampia (anche per errori e scelte fatte dalle loro dirigenze italiane, per carità, mica sono delle vittime) e in generale abbiano funzionato poco. Anche qui, direi comunque che hanno già dato cifre notevoli (magari avessero semplicemente fornito un piccolo contributo a film degli esordienti).
Ma il problema vero è un altro. Scrive infatti Giuliano: “Non ci sono più i nuovi Garrone e Sorrentino” è la seconda affermazione più ricorrente nel settore dopo ‘il cinema italiano è in crisi’”. Verissimo. Ricordo peraltro che Garrone ha esordito con un lungometraggio nel 1996, Sorrentino nel 2001 con L’uomo in più (costato due miliardi e mezzo e per quanto mi riguarda il suo film che amo maggiormente), quindi stiamo ormai parlando di almeno 25 anni fa. Ma qual è la ragione? Non è questione strettamente qualitativa, visto che i talenti giovani ci sono e magari alcuni di questi ottengono riconoscimenti importanti. Inoltre, diversi registi all’opera seconda/terza hanno avuto budget notevoli in questi anni, ma non li hanno sfruttati al meglio.
La mia teoria (a qualcuno non piacerà) è semplice: la generazione di realizzatori autori emersa negli ultimi 20-25 anni non ha grande intenzione/capacità di rivolgersi a un pubblico più ampio degli addetti ai lavori e dei Festival, come sono riusciti a fare invece in questi anni Garrone e Sorrentino e, aggiungerei, almeno anche Muccino, Ozpetek e Milani, in precedenza anche Virzì (adesso meno), nomi che in questi casi non vengono citati mai. Nulla di male, sono scelte accettabili, ognuno ha diritto di parlare (e non parlare) a chi vuole. Ma forse ci dobbiamo porre qualche domanda sul perché il sistema Italia produca quasi esclusivamente questo atteggiamento snobistico e quanto avrebbe senso sostenerlo anche più di quanto già non si faccia. D’altronde, se uno vuole comunicare con una nicchia, mi pare logico che sia meglio farlo con budget di nicchia, no?
Meglio magari riflettere, prima ancora che su quanti film di esordienti produrre e con quante risorse, su cosa produrre. I dieci progetti di cui si dovrebbe occupare la nuova commissione sarebbero realmente variegati? O saranno i soliti titoli ‘sociali’/’da festival’? Perdonate la mia diffidenza, ma in questo sono profondamente andreottiano (“a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”).
In sostanza, visto che, come ripeto, la proposta di Giuliano non comporta obblighi, ma possibilità, se Universal, Warner, Disney, Netflix, Amazon e le altre realtà straniere vogliono investire sugli esordienti, benissimo. Ma non sono sicuro che questo risolva il problema. E il problema sono i tanti giovani autori (tutti già autori dopo mezzo cortometraggio) che vogliono parlare al loro circolo amichettistico e non al pubblico…
Sinceramente, non sono d'accordo con la proposta di Giuliano. Intanto, va chiarito ed esteso il concetto di esordiente : non si può considerare tale solo chi è al di sotto di una certa età (c'è sempre un tempo per incominciare, magari dopo aver scritto o lavorato nello stesso mondo in altre forme). Secondo, gli esordienti non possono essere solo quelli che provengono da scuole di cinema più o meno articolate (nessuno dei filmaker importanti, da Moretti a Garrone o Sorrentino ne ha fatta una); terzo, all'interno di gruppi - Medusa è uno - che non partecipano a questi tavoli (l'attribuzione dei fondi resterà sempre un mistero..), come esordiscono i nuovi autori? Da qui, probabilmente, possiamo formulare proposte. Se, invece, si vuole favorire il "produttore" , allora stiamo parlando di altro (opere prime e seconde, autrici donne, under 30...)